Scrivere di un film quando si è già sviscerata abbondantemente la scheda tecnica per lavoro è complesso. I dettagli, quelli noti, si sanno a memoria: È stata la mano di Dio è l’ultimo lavoro di Paolo Sorrentino, dopo una stagione 2019-2020 dedicata esclusivamente al serial con The New Pope, presentato a Venezia 78 il due settembre. Torna in scuderia Toni Servillo, musa del regista partenopeo, a fare da contraltare all’esordiente Filippo Scotti nel ruolo di Fabietto Schisa, giovane della Napoli bene degli anni ’80 che si lascia scivolare addosso la storia – Maradona al Napoli, un evento tragico che cambierà la sua vita e la sua prospettiva sul mondo. In background, i grandi amori di Sorrentino: la sua terra natale e il cinema, che s’insinua piano nella vita di Scotti-Sorrentino (perché questo è quasi un auto-biopic, se vogliamo) e finisce per diventarne protagonista nel bene e nel male, perché tutte le persone che hanno dolori (o speranze) prima o poi sentono il bisogno di mettersi a raccontare una realtà “altra”, o la propria realtà vestita con l’abito delle grandi occasioni.
Per un lavoro così personale, Sorrentino segue la scia di un altro grande maestro del cinema intimista (ma non solo): È stata la mano di Dio, dopo il Leone d’Argento, ha soggiornato nelle sale italiane ancora martoriate dall’emergenza sanitaria per qualche settimana, per poi approdare su Netflix lo scorso 15 Dicembre, corredato di una serie di tenerissime featurette in cui Sorrentino porta lo spettatore, che coincide con il punto di vista della cinepresa, a spasso per il Vomero e per il centro storico e riflette, chiacchiera, racconta aneddoti sulla sua infanzia, parla del suo film preferito – che in questo lavoro si sente ancor più che in Youth, che di quel film sembrava proprio la traduzione postmoderna.
Il divino e l’umano – quell’umano basso, profano, immediatamente comprensibile con il quale si tende ad identificare Napoli e tutta la produzione artistica partenopea – si mescolano nella vita di un adolescente che forse non ha ancora i giusti strumenti per capirli e farli propri. Ma nonostante le abbondanti due ore di girate, È stata la mano di Dio non rappresenta che l’inizio della vita di Fabio “Fabietto” Schisa. Prima della vita c’era l’abitudine – due fratelli, Marchino e Daniela, i genitori che scornano ma poi si rappacificano per un motivo che se non si vive in prima persona può sembrare pure banale, la famiglia allargata che assomiglia ad un circo popolato da personaggi buffi, grotteschi e sentimentali. E poi, il dolore.
ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER