Sul più bello: sometimes, italians do it better

I film con protagonisti malati tendono ad avere il brutto vizio di porsi come una sorta di vademecum su cosa sia realmente la malattia, piuttosto che presentarsi come onesta rappresentazione di un singolo caso e di come influisce sulla vita del protagonista. Gran parte del dibattito attorno alla correttezza della rappresentazione, che trova spazio nella critica mainstream da quando John Green ha fatto il botto con Colpa delle stelle e relativo adattamento cinematografico, ruota giustamente intorno alla correttezza della rappresentazione della malattia e del suo impatto, ma anche intorno ad una certa tendenza a fare del dolore e della sofferenza un punto estremamente focale della vicenda. Si tratta di vicende, quelle raccontate nei cosiddetti “cancer movie”, che spesso culminano nella morte di uno dei protagonisti – anche Alla fine ci sei tu, con Maisie Williams, pur tentando di sovvertire lo stereotipo del malato come santo, cade nello sfruttamento della tragedia.

Sul più bello, nel suo essere un primo tentativo italiano appartenente a questo genere anche nell’estetica, cerca di trovare una propria nicchia. È la storia di Marta (Ludovica Francesconi), affetta da mucoviscidosi, un’orfana di diciannove anni che si trasferisce nella casa appartenuta ai genitori con gli amici Federica (Gaja Masciale) e Jacopo (Jozef Gjura) – la sua famiglia d’appartenenza, in sostanza – ansiosa di iniziare una nuova vita senza che la malattia le metta i bastoni tra le ruote.

Nella sua lista delle “cose da fare prima di morire” c’è riuscire a conquistare Arturo (Giuseppe Maggio), un giovane di buona famiglia che Marta ritiene al di fuori della sua portata. Tra un casino e l’altro – perché la specialità di Marta è combinare casini di dimensioni variabili – riesce a combinare un singolo appuntamento, dopodiché le strade dei due potranno dividersi come se non fosse mai successo nulla. Ma può essere così, in un film del genere? Naturalmente no, ma non senza qualche elemento di novità.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER

Il pregio e il difetto di Sul più bello è che viene da un romanzo scritto da una diciottenne – Eleonora Gaggero, che ha un piccolo ruolo nel film, quello della “fidanzata cattiva” di Arturo, che però non è neppure così cattiva perché alla regista Alice Filippi il bianco e nero netto non piace. E, per fortuna, si capisce.

In effetti, nel film non c’è proprio nulla di bianco e nero: i colori la fanno da padrone in tutto, dall’abbigliamento di Marta che ricorda un po’ la amata/odiata Amélie dell’omonimo film, fino alle ambientazioni che strizzano l’occhio a Wes Anderson e ad un certo cinema francese leggero contemporaneo (con un discreto successo, oltretutto). I colori virano verso toni caldi, accoglienti, come a voler esagerare quanto Marta trabocchi di vita; in una scena indossa persino un pigiama-tutina con le orecchie da coniglio. Insomma, non è una protagonista introversa e mogia, può addirittura risultare fastidiosa per chi non ama i personaggi estroversi, ma è una caratteristica che aggiunge un sano livello di realtà, più di quanto qualsiasi brutto monologo sulle sigarette possa fare.

La malattia è, sì, il fulcro della storia ma viene trattata come parte della vita: è un “segreto” che Marta si ostina a nascondere ad Arturo, è qualcosa che aleggia sempre su di lei, ma non è il motore di un pathos forzato – e questo è dimostrato dal finale, che lascia speranza di poter continuare a vivere nonostante la malattia.

Il “matrimonio” finale assomiglia ad un sogno, e forse lo è – ma è il coronamento di uno dei desideri di Marta, realizzato in quella stessa stanza in cui ha sposato per gioco i suoi idoli d’infanzia (Zac Efron e David Beckham). Il personaggio di Arturo subisce una metamorfosi ben prima di scoprire della malattia di Marta: da irraggiungibile figlio di papà a ragazzo con una sua sensibilità, anche un po’ impacciato a tratti.

Sebbene a tratti la recitazione dei protagonisti sia vagamente ingessata e risalti la poca naturalezza di alcuni dialoghi – problema che affligge un po’ tutto il panorama del cinema leggero italiano – il risultato finale risulta ugualmente gradevole, soprattutto per la performance di Ludovica Francesconi, che nel suo rendere Marta un personaggio “esagerato” l’ha resa reale. Marta sbaglia, non è una martire della sua malattia pur avendone paura ed avendo dei ragionevoli complessi che la portano addirittura a nasconderla ad Arturo – fatto sintomatico anche di un desiderio di controllo su qualcosa di più grande di lei.

La forza di Sul più bello sta nel prendersi sul serio solo fino ad un certo punto – consapevolmente o meno. Il finale non è scontato, nonostante il buon numero di clip presenti su internet, che forse rendono la visione meno immersiva per chi le ha visionate in anteprima; scoprire il modo in cui Marta ed Arturo si vengono incontro, però, risulta comunque interessante.

Sul più bello è uno dei primi film italiani ad inserirsi in un genere prevalentemente anglofono, rispettandone i canoni ma prendendosi delle licenze intelligenti che lo impreziosiscono. Una visione leggera, consigliata se si cerca qualcosa di non eccessivamente impegnato e si è disposti a chiudere un occhio (o entrambi) su alcune scelte stilistiche non ottimali.

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