Endgame: arrivederci alla Marvel che ci ha cresciuti

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Il fatto curioso dei film del Marvel Cinematic Universe è che sono in grado di monopolizzare i monosala di provincia per un periodo di tempo interminabile. Non esiste il tempo canonico: esiste il prima e il dopo gli Avengers, come la nascita di Cristo. Non è soltanto un fatto di programmazione, anche l’orologio biologico di tutta l’industria ha i suoi tempi scanditi dai supereroi: per sapere se un film andrà bene o meno al botteghino, basta controllare in contemporanea a cosa esce (vedi anche: San Valentino 2018 e Heaven’s Feel, che ha dovuto combattere con il lancio di Black Panther).

Endgame ha tutte le buone ragioni per essere attesissimo: dopo i disastri successi in Infinity War, grande monopolizzatore di poltrone della primavera 2018, vogliamo tutti sapere come va a finire, anche chi frequenta l’MCU occasionalmente e vuole stare al passo, mosso da curiosità come nel mio caso. In casa Marvel uno dei punti forti è la gestione dell’hype: un trailer mandato a sorpresa durante l’intervallo del Superbowl è difficile da dimenticare, così come tutta la campagna mediatica con i poster “Avenge the fallen” e tutti i meme che hanno animato l’attesa, non ultimo quello sulla versatilità di Antman.

Ma che dire del film? Senza fare ancora spoiler, Endgame sa di chiusura. Naturalmente non è una chiusura definitiva, dal momento che la grande macchina delle meraviglie non si ferma un minuto e ha in cantiere tante altre diramazioni delle storie dei personaggi al di fuori del dream team degli Avengers. Però sì, il peso di una parentesi iniziata con la frase iconica di Tony Stark (“La verità è che… io sono Iron Man”, che tra l’altro si dice sia stata improvvisata), che ha preso forma piena con il fenomeno Avengers nel 2012 e che è proseguita sino a divenire fenomeno mediatico con delle specificità non immediatamente replicabili, si avverte tutto.

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#FuoriGara Captain Marvel: alti e bassi per una nuova-vecchia protagonista

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Che Captain Marvel sia motore di cambiamenti si capisce già dal fatto che è stato la ragione per cui su RottenTomatoes e affini hanno (finalmente) tolto di mezzo la possibilità di recensire un film non uscito. Attorno al capitano Danvers si è eretto un vero e proprio muro d’odio fatto di cazzate puntualizzate (perché non sorride nel poster?) e conversazioni sterili che muoiono quando si chiede alla persona interessata se ha visto il film, di critiche alla presunta bruttezza (eh?) della Larson. Chissà perché l’esistenza delle donne, nell’anno del signore 2019, fa ancora tanto scalpore.

Tant’è che non parliamo dell’ultima arrivata elevata a simbolo del potere femminile della terza ondata, bensì dell’ispirazione per gli Avenger così come li conosciamo (facendo riferimento al MCU).

Il film, a cavallo dell’entrata in sala, era stato anche protagonista di un altro episodio infelice: alcuni multisala italiani minori (le sale uniche sono un discorso a parte, puntano sul cavallo vincente) avevano orientato la programmazione esclusivamente a favore dell’eroina, penalizzando altre uscite se non ugualmente rilevanti quantomeno meritevoli di affiancarla. Si tratta però di una casistica che, fortunatamente, è abbastanza ristretta da ridimensionare la portata dello scandalo.

Qualsiasi tentativo di boicottaggio è stato, quindi, arginato.

Il film segue le vicende di una donna chiamata Vers, soldato dell’impero Kree affetta da amnesia. L’impero è in guerra con la razza aliena mutaforma degli Skrull, che rapiscono la ragazza per sottoporla ad interrogatorio mentale; grazie ai poteri (ancora incontrollabili) che possiede, Vers riesce a liberarsi e dopo una colluttazione finisce su un pianeta di fondamentale importanza: la Terra, nel 1995.

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Into the Spider-verse: La pazza tragicommedia di un’icona

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Il bello delle scene extra made in Marvel è che alle volte danno assaggi migliori del film che vanno a chiudere. Sin dalla sua comparsa dopo i titoli di coda di Venom, Spiderman: Into the SpiderVerse si presenta come un’idea del tutto innovativa; la scena alla fine del cinecomic antieroico chiarisce già da subito tutte le peculiarità del film, a cominciare dalle didascalie che compaiono in sovrimpressione alle scene.

Solo grandi nomi per le nuove avventure della maschera di punta di casa Marvel: dirige i giochi il trio Ramsey (Le 5 Leggende), Persichetti (rodato in casa Disney, al debutto da regista) e Rothman (sceneggiatore di 22 Jump Street, anche lui debuttante alla regia). Il duo Lord-Miller (Lego Movie), con manforte da nientemeno che Alex Hirsch (Gravity Falls), a questo giro firma quasi un capolavoro. Le animazioni non sono fluide e fotorealistiche, ma a scatti, quasi come quei blocchetti a scorrimento che messi in sequenza creano il movimento. È questo il fulcro della tecnica stilistica utilizzata per narrare la storia di Miles Morales, un nuovo, giovane Spider-Man fra i tanti, che riceve il testimone nientemeno che da Peter Parker in persona. Il film incomincia seguendo le sue vicende, che si snodano a ritmo di hip-hop lo-fi e hanno i colori vividi della street art – motivo tematico del giovane protagonista. Miles si trova costretto ad abbandonare la sua confortevole quotidianità per frequentare un prestigioso college nel quale fatica ad ambientarsi; lì incontra l’unica persona disposta ad accettare (più o meno) le sue stranezze, Gwen, incontrata durante una lezione premonitrice sulla teoria degli universi paralleli, ma una sola parvenza d’amicizia non basta a sciogliere i mille dubbi che lo attanagliano.

La figura con cui ha una connessione più salda è quella dello zio Aaron, fratello del padre poliziotto, che lo incentiva a dare sfogo ad una vena artistica che si realizza attraverso i graffiti – elemento estetico portante del personaggio. È proprio durante una di queste sessioni che Miles viene morso dal fatidico ragno radioattivo.

Se il pubblico è riuscito a simpatizzare con Peter Parker anche per via della sua iniziale goffaggine e poca padronanza dei poteri, condensata per lo più nella porzione iniziale di tutti i film che riguardano lo SpiderMan originale, Miles risulta adorabile. La quasi totale incapacità di governare i cambiamenti del suo corpo è usata per delle gag davvero gustose e persino lo scenario diventa funzionale alla descrizione del caos che si muove sotto la superficie del personaggio.

Ma c’è molto più che un semplice percorso da ragazzino imbranato ad eroe qui.

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Venom: casini in casa Marvel

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Il bello e il brutto di vedere un film nel primo giorno di lancio, con solo un mormorio indistinto di pareri provenienti da chi è stato abbastanza fortunato da vedersi l’anteprima in sottofondo, è che non sai che cosa aspettarti. Anzi no, è soprattutto il bello: del film di  Venom non sapevo assolutamente nulla, se non che ha fatto tornare di moda il carbone attivo nelle ricette sponsorizzate su Tasty e che, stando ai trailer, segue quel filone di film più cupi sui supereroi. La storia è un twist originale sulle origini di uno dei cattivi più iconici del franchise di Spider-Man, dal quale si slega completamente per via di simpatiche questioni burocratiche grazie alle quali la Disney-Marvel detiene attualmente i diritti del personaggio di Spider-Man, almeno fino all’uscita del seguito di Homecoming.

Abbiamo imparato, grazie allo Spiderman di Sam Raimi dei primi anni 2000 e poi l’MCU nella sua interezza, a prendere le aspettative di fedeltà al fumetto e a metterle da parte preventivamente per evitare di restare delusi (perché neanche la fedeltà assoluta, se pretendi di adattare 1:1, paga – no, non perdonerò mai Zack Snyder per Watchmen, okay?). Il fatto è che l’assenza di Spiderman, anche in un universo dove si suggerisce che sia Venom stesso il protagonista, mina pesantemente le fondamenta di questo ennesimo tentativo di multiverso in termini di coerenza e credibilità.

Se non altro, Tom Hardy fa il suo onesto lavoro e conferisce al personaggio una personalità con cui lo spettatore può senz’altro simpatizzare.

Procedendo con ordine, la storia di Venom è quella di Eddie Brock, giornalista d’inchiesta dal carattere turbolento che, venuto in possesso di alcune verità scomode sulla Life Foundation, una fondazione che con l’idea di finanziare la ricerca e il progresso tecnologico con particolare attenzione alla possibilità di vita su altri pianeti, perde il lavoro e con esso tutto ciò che è importante per lui. Deciso comunque a scoprire la verità, si ritrova nuovamente a fare i conti con la fondazione e viene a stretto contatto con un’entità aliena che gli stravolgerà l’esistenza.

E penso sia più saggio parlare di tutto il resto sotto l’avvertimento.

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