Volevo nascondermi: comunicare il mondo, quando il mondo non ascolta

I film che raccontano le vite degli artisti, come in generale quelli che raccontano vite di cui si conoscono i dettagli o meno, rischiano spesso di impelagarsi nella funzionalità della narrazione, creando personaggi che si muovono da un punto A ad un punto B che pur facendo maggiormente breccia nel cuore dello spettatore non sono davvero corrispondenti alle loro realtà. Con l’artista Antonio Ligabue non sarebbe stato possibile in ogni caso, proprio perché si tratta di un artista neurodivergente, affetto da nevrosi che impediscono di crearvi attorno una narrazione lineare. Eppure, Volevo nascondermi riesce a creare non soltanto una grande empatia con la figura di un artista che ha raccontato un mondo interiore prezioso e sostanzialmente inedito, ma a raccontare attraverso dei fotogrammi di vita il distacco tra chi veniva messo ai margini della società e le figure che successivamente hanno deciso di capitalizzare sulla sua esistenza.

Volevo nascondermi narra la vita di Antonio Ligabue sin dall’infanzia travagliata vissuta in Svizzera, con in più anche la difficoltà della barriera linguistica oltre che quella legata alla neurodivergenza dello stesso Ligabue, e agli infiniti ricoveri tra una struttura e l’altra, con brevi interruzioni solo per le mostre o le esposizioni in atelier. A quel punto, è l’arte a diventare strumento di comunicazione per Ligabue, che trova così un attaccamento alla vita nell’unico mezzo di comunicazione a sua disposizione.

Il film è stato premiato con sette David di Donatello: Miglior film e Miglior regia, Miglior attore protagonista ad Elio Germano, Miglior autore della fotografia, Miglior suono, Miglior scenografo e Miglior acconciatore.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER

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Figli: esaurimenti, crescita zero e amore

Il secondo figlio, nell’Italia della crescita zero, dei quarantenni precari e della recessione economica, è un atto di coraggio e di follia. Ma anche il primo, per alcuni. Partendo dall’assunto che almeno un figlio si debba fare – altrimenti chi li sente genitori e suoceri – questa è la premessa di Figli, opera ultima di Mattia Torre affidata alla regia di Giuseppe Bonito (entrambi hanno lavorato a Boris), tratta dal monologo teatrale I figli invecchiano e trasformata nella storia di Sara (Paola Cortellesi) e Nicola (Valerio Mastandrea), una coppia in attesa del secondo figlio che diventa l’archetipo della famiglia nucleare italiana, sbattuta di qua e di là tra ansie e gioie rappresentate in maniera volutamente esagerata e tragicomica.

La matrice teatrale del film è evidente nell’uso del voiceover e nella divisione in atti: sette segmenti in cui si affronta un dato tema legato all’essere genitori, con l’umorismo caratteristico di chi ha lavorato alla migliore serie comica italiana. La scelta di volti familiari come quelli di Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea aiuta non soltanto lo spettatore a sentirsi a casa, ma funge da elemento facilitatore nel rendere questi due personaggi degli archetipi sottoposti a continui “cambi di scelta”. La sceneggiatura non segue unicamente una struttura lineare, ma vaglia le possibilità di scelta rispetto ad una problematica posta dal crescere i figli. Se questa “coppia che scoppia” arriverà integra al traguardo, lo dirà solo il finale del film.

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Miss Marx: un gigante messo all’angolo

Anche l’Italia si è lanciata a capofitto nel genere biografico: a Venezia 77, tra i film in concorso, la regista Susanna Nicchiarelli ha scelto di raccontare la vita di Eleanor Marx (interpretata da Romola Garai) nel suo Miss Marx, biopic che attraversa le fasi della vita dell’erede di Karl Marx a partire dalla morte del padre.

Il film è stato insignito dei David di Donatello per la Miglior produzione, i migliori costumi e la miglior colonna sonora a cura della band torinese alt rock Gatto ciliegia contro il Grande Freddo, con l’aggiunta di alcuni brani del gruppo punk Downtown Boys. E punk è proprio la parola d’ordine del film: si presenta come un film in costume molto classico, con tanto di direzione della fotografia e color quasi hollywoodiana e cast internazionale, ma aggiunge elementi estremamente pop per ricontestualizzare in senso moderno i temi e la sensibilità di un personaggio lasciato fin troppo ai margini non soltanto del movimento socialista, ma anche delle lotte delle donne e del femminismo stesso – al di fuori di contesti accademici o associazionisti, naturalmente.

Il film si concentra sul rapporto di Eleanor Marx con il letterato Edward Aveling (Patrick Kennedy), con il quale instaura prima un rapporto intellettualmente stimolante e passionale, ma viene poi travolta dall’atteggiamento tossico di lui, che inizierà ad affiorare man mano.

ATTENZIONE: Il film a seguire contiene SPOILER

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