Volevo nascondermi: comunicare il mondo, quando il mondo non ascolta

I film che raccontano le vite degli artisti, come in generale quelli che raccontano vite di cui si conoscono i dettagli o meno, rischiano spesso di impelagarsi nella funzionalità della narrazione, creando personaggi che si muovono da un punto A ad un punto B che pur facendo maggiormente breccia nel cuore dello spettatore non sono davvero corrispondenti alle loro realtà. Con l’artista Antonio Ligabue non sarebbe stato possibile in ogni caso, proprio perché si tratta di un artista neurodivergente, affetto da nevrosi che impediscono di crearvi attorno una narrazione lineare. Eppure, Volevo nascondermi riesce a creare non soltanto una grande empatia con la figura di un artista che ha raccontato un mondo interiore prezioso e sostanzialmente inedito, ma a raccontare attraverso dei fotogrammi di vita il distacco tra chi veniva messo ai margini della società e le figure che successivamente hanno deciso di capitalizzare sulla sua esistenza.

Volevo nascondermi narra la vita di Antonio Ligabue sin dall’infanzia travagliata vissuta in Svizzera, con in più anche la difficoltà della barriera linguistica oltre che quella legata alla neurodivergenza dello stesso Ligabue, e agli infiniti ricoveri tra una struttura e l’altra, con brevi interruzioni solo per le mostre o le esposizioni in atelier. A quel punto, è l’arte a diventare strumento di comunicazione per Ligabue, che trova così un attaccamento alla vita nell’unico mezzo di comunicazione a sua disposizione.

Il film è stato premiato con sette David di Donatello: Miglior film e Miglior regia, Miglior attore protagonista ad Elio Germano, Miglior autore della fotografia, Miglior suono, Miglior scenografo e Miglior acconciatore.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER

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