Figli: esaurimenti, crescita zero e amore

Il secondo figlio, nell’Italia della crescita zero, dei quarantenni precari e della recessione economica, è un atto di coraggio e di follia. Ma anche il primo, per alcuni. Partendo dall’assunto che almeno un figlio si debba fare – altrimenti chi li sente genitori e suoceri – questa è la premessa di Figli, opera ultima di Mattia Torre affidata alla regia di Giuseppe Bonito (entrambi hanno lavorato a Boris), tratta dal monologo teatrale I figli invecchiano e trasformata nella storia di Sara (Paola Cortellesi) e Nicola (Valerio Mastandrea), una coppia in attesa del secondo figlio che diventa l’archetipo della famiglia nucleare italiana, sbattuta di qua e di là tra ansie e gioie rappresentate in maniera volutamente esagerata e tragicomica.

La matrice teatrale del film è evidente nell’uso del voiceover e nella divisione in atti: sette segmenti in cui si affronta un dato tema legato all’essere genitori, con l’umorismo caratteristico di chi ha lavorato alla migliore serie comica italiana. La scelta di volti familiari come quelli di Paola Cortellesi e Valerio Mastandrea aiuta non soltanto lo spettatore a sentirsi a casa, ma funge da elemento facilitatore nel rendere questi due personaggi degli archetipi sottoposti a continui “cambi di scelta”. La sceneggiatura non segue unicamente una struttura lineare, ma vaglia le possibilità di scelta rispetto ad una problematica posta dal crescere i figli. Se questa “coppia che scoppia” arriverà integra al traguardo, lo dirà solo il finale del film.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER

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