This Is Where I Leave You: ritratto di famiglia numerosa con problemi

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C’era uno sketch del Trio Solenghi-Marchesini-Lopez, in cui i tre vestiti di nero snocciolano con una solennità esilarante una serie di luoghi comuni sempre più surreali. Il contesto rende il tutto – già gustoso – geniale: un non meglio precisato funerale.

I sentimenti che si affollano nei cuori di chi sopravvive alla perdita di un caro – un genitore, mai troppo anziano – non sono scontati. This Is Where I Leave You è una commedia del 2014 di Shawn Levy, meglio noto per la serie di Una notte al museo, per il cult per ragazzi Una scatenata dozzina e per aver diretto alcuni episodi di Stranger Things. E proprio di questi sentimenti ci parla il regista, seguendo la storia di una numerosa famiglia ebraica – gli Altman – appena sconvolta dalla perdita del padre di famiglia a seguito di una lunga malattia. Il figlio di mezzo, Judd (Jason Bateman), riceve la notizia per di più mentre è nel pieno della crisi matrimoniale dopo aver scoperto la moglie Quinn a letto con il suo capo, Wade.

Uno dopo l’altro, al funerale, i figli si riuniscono attorno alla madre (Jane Fonda) per ricordarsi sia quanto si diano ai nervi l’un l’altro, ma anche per riscoprire quanto sia profondo l’amore che li lega, nei sette giorni della shiva. Nonostante i problemi siano tutt’altro che trascurabili.

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Giovani si diventa: innamorarsi della vita, anche da “vecchi”

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Intorno all’estate del 2016, quando Adam Driver aveva ufficialmente raggiunto la fama nel pubblico mainstream grazie a The Force Awakens, ricordo che Sky Cinema iniziò a dare in blocco un sacco di film con lui. Alcuni, casualmente, ad un anno dall’uscita in sala.

È il caso di While We’re Young, conosciuto in Italia come Giovani si diventa, di Noah Baumbach. Il regista può considerarsi una sorta di padrino di battesimo per Adam, dal momento che è comparso in quasi tutti i suoi film ed è sbarcato con lui a Venezia quest’anno per la presentazione di Marriage Story.

Giovani si diventa è una classica commedia sugli scontri generazionali, equipaggiata con un cast stellare: Josh (Ben Stiller) e Cornelia (Naomi Watts), rispettivamente un documentarista e una produttrice cinematografica, sono una coppia che ha oltrepassato la soglia dei quaranta e si trova a vivere un senso di disagio profondo mentre tutti i loro amici iniziano a figliare e a trasformare una routine tutto sommato ancora giovanile in un carosello di pappe, poppate, tatuaggi infetti e alienanti corsi di musica per bambini. Sulla loro strada s’imbattono in Jamie (Adam Driver) e Darby (Amanda Seyfried), una coppia di quel genere di venticinquenni hipster che usa poco i social, colleziona vinili ed è appassionata di new age. Il mix è esplosivo: i più anziani si innamorano quasi letteralmente dei più giovani, lasciandosi coinvolgere nelle loro abitudini quasi esotiche. Ma non tutto è bello come sembra.

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The Report: perché l’America non deve dimenticare

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Waterboarding, privazione del sonno, percosse, umiliazioni, finte sepolture. Tutte tecniche di tortura definite “innovative” dal fior fiore degli esperti di psicologia criminale della CIA, e pienamente autorizzate sui – veri o presunti – jihadisti che hanno lavorato dietro le quinte del vero spartiacque del nuovo Millennio: gli attentati dell’11 Settembre 2001.

The Report, film di Scott Z. Burns in arrivo su Amazon Prime Video dal 29 Novembre, racconta la storia del portaborse Daniel Jones (Adam Driver), interessatosi al caso per conto della senatrice dem Dianne Feinstein (Annie Bening). Il viaggio tra i documenti secretati della CIA e i video dei cosiddetti “interrogatori avanzati” è agghiacciante: non solo non si ha certezza che le persone torturate siano effettivamente coinvolte nell’attentato o nelle successive minacce, ma la morte di questi viene quasi considerata un successo. Intanto, non solo la CIA non raccoglie informazioni significative sulla mappa degli attentati o sulle gerarchie di Al-Qaeda, ma è potenzialmente mal indirizzata.

La stesura del rapporto di Jones sarà estenuante, sia per le tempistiche che per la poca cooperazione dei coinvolti, ma anche per il progressivo isolamento a cui lo stesso portaborse si sottoporrà.

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