L’Academy ci insegna come NON guardare i cartoni

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Di cosa parliamo quando parliamo di animazione? Ancora oggi, la critica non riesce a decidersi. Al di là del classico discorso sul fatto che sia un mezzo e non un genere, fatto che dovrebbe riuscire comprensibile ai più, c’è una certa resistenza ad accettarla come arte. Eppure, nel 1991 successe che La Bella e la Bestia riuscì ad accaparrarsi una nomination come Miglior Film agli Oscar. Sarà che la Disney era già potente da un po’, sarà che è veramente un bel film, ma è un caso unico.

Dieci anni dopo, forse per evitare che potesse ripetersi il caso, fu istituita la categoria Miglior film d’animazione. Il premio fu assegnato a Shrek, non il peggior film d’animazione mai uscito, ma più rilevante sul piano della cultura pop che non su quello tecnico.

Poi, nel 2002, colpo di scena: due grandi film d’animazione 2D della Disney (Lilo & Stitch e Il pianeta del tesoro, che non sono neppure commedie romantiche) scartati a favore del capolavoro visivo e narrativo La città incantata di Hayao Miyazaki. I film dello Studio Ghibli non torneranno nella rosa delle nomination fino al 2005, anno in cui Il castello errante di Howl verrà sconfitto dallo stop motion non-Disney di Wallace & Gromit. Una lotta ad armi abbastanza pari da potersi ritenere soddisfatti, d’altronde la preferenza personale di un giudice conterà pure qualcosa in una materia non del tutto oggettiva quale la critica cinematografica.

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I figli del mare: crescere significa rispondere al canto dell’universo

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Con I figli del mare, il regista Ayumu Watanabe ha dato una forma concreta alla sensazione che accomuna tutti gli esseri umani per natura: quella di essere infinitamente piccoli in confronto all’universo (rappresentato nelle forme sterminate del mare e del cielo) e quella di voler disperatamente appartenere ad esso.

La storia parla di Ruka, ragazza delle medie che vive come chiusa in una bolla, alienata dagli affetti dei coetanei ed emotivamente distante dai genitori. La sua strada incrocerà quella di due misteriosi ragazzi venuti dall’oceano: Umi e Sora. Due nomi altamente simbolici, il cui significato sarà il pilastro della potentissima narrazione che si snoda per le quasi due ore del film.

Questi due ragazzini, che hanno forma umana ma non sentono o pensano come persone della loro età, strapperanno Ruka alla mediocrità del suo quotidiano e le mostreranno quali segreti sommersi (letteralmente e non) nasconde il mondo. Tutto questo, in attesa della grande cerimonia cosmica a cui i due prenderanno parte. Seguendo il richiamo delle megattere, i tre protagonisti si avventureranno tra paesaggi irreali e coloratissimi, in cui i corpi minuti quasi svaniscono.

È una storia di crescita abbastanza atipica, soprattutto perché mostra il cambiamento nella protagonista più spesso attraverso la fisicità e i gesti che non con la parola. Perché la parola, in questo film, è quasi superflua: il centro di tutto è la comunicazione.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER Continua a leggere