La contemporaneità ha abituato l’uomo ad una serie di aspettative sulla propria vita. Una casa, un lavoro, una famiglia nucleare – la cosiddetta fantasia dello “steccato bianco”, derivante dai manifesti pubblicitari e dalla propaganda spinta che ha venduto il Sogno Americano come unico ideale possibile. Ma cosa succede quando hai più di cinquant’anni e la Grande Recessione, la crisi economica che ha buttato in ginocchio boomer e i Gen X-er più anziani e distrutto le possibilità di ripresa dei Millennial, ti investe? Cosa succede quando ti ritrovi sola, in una città nel cuore di un paese troppo grande, che inghiotte chi non sgomita abbastanza? Chloé Zhao ha scelto di raccontarlo, trasponendo su schermo un racconto di non-fiction, a metà tra l’inchiesta giornalistica e la biografia. Nomadland, che ha iniziato la sua corsa ai grandi premi del cinema internazionale a Venezia, prende spunto dall’omonimo saggio della giornalista Jessica Bruder, che ha seguito le vicende di alcuni statunitensi più anziani che hanno scelto di vivere nei camper e di viaggiare seguendo le rotte che conducono al lavoro, incontrando altri nomadi lungo la strada.
In particolare, il film è incentrato sulla figura di Fern (interpretata da una colossale Frances McDormand), che dalla cittadina morente di Empire dopo la morte del marito salta di impiego in impiego, imparando a sopravvivere sulla grande strada.
ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER