[Commissione] Another Day of Life: i media ce lo dicono, ma noi dimentichiamo

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Rendere in un film una testimonianza biografica non è semplice. Tanto più se non si parla di un percorso artistico, ma di una reale esperienza di guerra: Ancora un giorno (Another Day of Life) racconta la testimonianza di Ryszard Kapuściński, unico corrispondente estero polacco che ha assistito all’inizio della guerra civile in Angola, nel 1975, all’indomani della caduta dell’impero coloniale portoghese. Kapuściński raccoglieva informazioni per conto della Polish Press Agency, l’agenzia stampa nazionale della Polonia, e in particolare si è soffermato sulle vicende del Movimento Popolare per la Liberazione dell’Angola (MPLA), raccogliendo materiale video che è stato incluso all’interno del film. La struttura del film prende spunto dal saggio omonimo di Kapuściński, pubblicato nel 1976.

Ancora un giorno è stato presentato a Cannes 71 nella categoria documentari ed è diretto da Raúl de la Fuente e Damian Nenow. Il progetto è una co-produzione europea ed è stato insignito di più di un premio: Miglior film d’animazione ai Goya 2019 e agli European Film Awards del 2018.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER

Realizzare un prodotto ibrido tra il film d’animazione di narrativa e il documentario è una scelta stilistica estremamente originale. Nel film, infatti, le sequenze animate sono intervallate da riprese effettuate da De la Fuente (che nasce documentarista) e da materiale autografo raccolto da Kapuściński stesso, a voler raccontare le figure che si sono battute per cercare di conquistare l’autonomia per il proprio paese. La guerra civile in Angola durerà, pur non continuativamente, fino al 2002, e ancora oggi gravano sul paese gli strascichi di quasi trent’anni di conflitto, senza tener conto della precedente dittatura coloniale. Per contestualizzare il film, occorre ricordare che ci si trova negli anni dell’apartheid: il Sudafrica minaccia i confini. Nel frattempo, il governo cubano si era schierato con i governativi dell’Angola

Il racconto della guerra è reso ancora più vivido dalle libertà date dal medium animato, che è usato per le ricostruzioni delle scene vissute da Kapuściński: tutte le emozioni più forti sono affidate a sequenze oniriche sui toni del blu e del rosso, in cui il corpo dello stesso protagonista si scompone, così come l’ambiente intorno a lui. In particolare, viene presentata con questo linguaggio visivo il momento in cui Kapuściński apprende la notizia della morte di Carlota, una militante dell’MPLA a cui si era avvicinato e del cui operato aveva raccolto testimonianze che vengono mostrate all’interno del film. È come se le libertà totali dell’animazione diventassero funzionali a raccontare quei momenti in cui il mondo smette di aver senso per Kapuściński, sia per la violenza delle esperienze di cui è testimone (fra le altre, una strada disseminata di cadaveri in procinto di esplodere), sia per l’incapacità di elaborare razionalmente eventi che lo sopraffanno e che si susseguono senza lasciare spazio per il pensiero lucido.

Luanda, la capitale dell’Angola, è descritta come “città della paranoia”, in cui tutto sembra sul punto di rovesciarsi e l’agitazione del popolo è palpabile a prescindere. Ma è sulle strade non battute che si consuma la parte più sanguinosa del conflitto: i membri dell’MPLA sono a tutti gli effetti dei guerriglieri, e in un primo momento Kapuściński viene attaccato. La tensione delle scene che possono essere definite “narrative” è costruita in modo tale che anche se è scontato che il protagonista sopravviva, si riesce comunque a far temere lo spettatore per la sua sorte.

Il ritratto che emerge di Kapuściński è il ritratto di un uomo che si è battuto per raccogliere una testimonianza, ma che prima di consegnare le notizie all’agenzia ha voluto vivere in prima linea l’esperienza di guerra – sarà solo dopo che utilizzerà il suo status di giornalista per far luce sulla primissima fase di un conflitto che durerà decenni. La frase emblematica del film è: «Mi identifico con chi viene umiliato e offeso […] la povertà non ha voce, il mio dovere è far sì che quella voce venga sentita».

Ciò che rende davvero vincente il film come prodotto artistico e giornalistico, al di là del validissimo contenuto, è la scelta stilistica: con le sue potenzialità, l’animazione (qui usata con la tecnica del rotoscopio) ha permesso di scavare più a fondo l’interiorità di Kapuściński, in un modo che una ricostruzione con attori avrebbe forse reso in qualche modo sterile o ingessata.

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