Tuo, Simon: le gioie e i dolori dell’essere normali

Love_Simon

Questo mese del Pride, anche se forse meno di due anni fa coi fatti di Orlando, si è preannunciato difficile sin dall’inizio. Tuttavia, non si perdono le speranze: dal 31 maggio è presente nelle sale italiane un film curioso, Love, Simon (portato in Italia col titolo di Tuo, Simon), che una fetta dell’internet attendeva con una certa urgenza; il resto, purtroppo, non aveva idea di cosa fosse o l’ha saputo soltanto di recente. Tratto dal romanzo young adult Simon vs. the Homo Sapiens Agenda, tradotto con Non so chi sei, ma io sono qui; traduzione forse un po’ più drammatica del necessario, ma che incarna perfettamente lo spirito del giovane protagonista, dalla penna dell’emergente Becky Albertalli – un titolo ben riuscito e ben pensato che sicuramente attirerebbe l’attenzione dei visitatori di una libreria. Le polemiche sull’eterosessualità dell’autrice le lascerei a certi meandri bellicosi di certi siti blu; ciò che interessa davvero è che iniziare il mese del Pride – che per definizione è celebrazione ma è anche memoria storica e ricordarsi che dentro e fuori dalla comunità non sempre ci si sente a casa – con un film come Love, Simon è una ventata d’aria fresca di cui un po’ tutti avevamo bisogno.

La premessa è abbastanza semplice: Simon è un diciassettenne gay che non riesce ad uscire allo scoperto; un giorno, inizia una corrispondenza con un altro studente gay della sua scuola essendo rimasto colpito da un suo messaggio anonimo (salvo che per una mail non riconducibile ad una persona in particolare) lasciato su una piattaforma informatica ad esclusivo appannaggio degli studenti. Il tono non è quello di una grande storia impegnata o drammatica – insomma, non è Moonlight e non è Kill All Your Darlings. E sapete che c’è? Meno male.

Meno male che non è così, perché la normalizzazione dei temi LGBT passa anche per commedie leggere – ma mai stupide – infarcite di cliché e personaggi imbarazzanti (tipo il vicepreside estremamente giovanile che racconta dei suoi buchi nell’acqua su Tinder con falsa nonchalance), per le risate e per i momenti toccanti. E per numeri musicali anni ’80, sui quali tornerò dopo.

Il film è lineare, non è pieno di sottotrame complesse difficili da chiudere, i “colpi di scena” sono telefonati fin dal primo quarto del film ma ciononostante consiglierei cento, mille volte di spendere i soldi del biglietto, solo per provare quello che ho provato io: un senso di pace assoluta in una rappresentazione così normale e quotidiana di qualcosa che è normale e quotidiano. C’è chi ha dibattuto sulla poca credibilità della presenza soverchiante della cultura nerd in questo film, ma è una critica facilmente smontabile: evidentemente, fa parte della realtà dell’autrice. Sul muro della camera di Simon (una perfetta stanza da letto americana in quello che fino al 2015 avremmo chiamato “stile Tumblr”) c’è lo stemma di Tassorosso, una casata di Harry Potter – e va bene così, milioni di ragazzi ce l’hanno, non è né irrealistico né ridondante.

Love, Simon va guardato perché è la storia di tutti. Certo, c’è da dire che a lui è andata meglio che ad altri, ma al di là di un sentimento di comprensibile invidia per la relativa semplicità del suo contesto, forse mostrare su schermo positività invece che lotte, urla e fughe da genitori emotivamente morti e abusi di ogni tipo può far bene sia ai ragazzi che alle famiglie.

ATTENZIONE: Il testo a seguire contiene SPOILER.

Il film si apre, come qualsiasi commedia adolescenziale, con una brevissima presentazione in voice-over del protagonista, che è anche voce narrante del film: parla direttamente allo spettatore dicendogli io sono come te. Ed è vero, ed è proprio il punto del film: Simon è un ragazzo normale, o quantomeno rappresenta quello che dovrebbe essere la norma per gli adolescenti – avere degli amici, degli hobby e farsi mille problemi su cosa si è. Anche la famiglia di Simon è nella norma: genitori che si amano, una sorella che tutto sommato gli vuole bene, con tutte le tradizioni tipicamente americane come la “serata film” o i barbecue con tutto il vicinato. Il fatto che Simon stia lottando con la sua identità, non rende l’ambiente che lo circonda in qualche modo falso o malsano: i suoi cari gli vogliono bene, e naturalmente non smettono di farlo al momento del suo coming out.

La corrispondenza con Blue, il misterioso ragazzo del messaggio anonimo sul social, mette in luce soprattutto il sentimento di empatia che si prova nei confronti di chi sta affrontando una battaglia simile alla nostra; e sono proprio l’empatia e la sensibilità di Simon a farne un buon protagonista, soprattutto perché nonostante questi grandissimi pregi non è un santo o un eroe incriticabile. Gran parte del punto di svolta del film è causato dalla sua – pur comprensibile – pessima gestione della pressione costante di Martin, ragazzo del club di teatro innamorato di Abby, una delle amiche di Simon, che per caso ha scoperto le email del ragazzo e le ha stampate per obbligarlo ad aiutarlo a rendersi più appetibile a lei, che invece ha interesse per Nick, un ragazzo del gruppo di amici di Simon. Come in ogni storia young adult, la rete di triangolazioni amorose ha rilevanza di trama, qui giustificata dal fatto che l’amore è uno dei temi principali; Simon sconvolge queste reti naturali di attrazione indirizzando Nick verso Leah (Katherine Langford, ovvero la Hanna Baker della serie 13), che è innamorata di Simon, e Abby verso Martin nella speranza di tenerlo buono. Nel frattempo, continua la sua ricerca di Blue, che proietta su tutti i ragazzi che gli interessano.

La bolla è destinata a scoppiare proprio il giorno di Natale, dopo che Martin viene rifiutato da Abby davanti a tutta la scuola ed esposto perciò al pubblico ludibrio; per qualche oscura ragione, decide di postare sul social scolastico le foto della corrispondenza di Simon e Blue, costringendo così Simon a rispondere facendo coming out con tutti, contro la sua volontà.

I genitori, pur dopo un momento di difficoltà dovuto più all’imbarazzo dell’aver preteso di conoscere il figlio senza effettivamente parlargli che a una ostilità nei confronti del suo orientamento, accettano e supportano Simon, che tuttavia si isola dagli amici. L’isolamento e l’alienazione sono due altri temi fondamentali nella pellicola: anche se Simon sa di essere benvoluto dai suoi amici, e in fondo razionalizza l’idea di fare coming out con loro, semplicemente non si sente pronto and affrontarli e ad affrontarsi – avere un’esperienza che non si può condividere con nessuno a lungo termine diventa alienante, e fa sentire come se non ci fosse possibilità di connettersi ad altri anche se i fatti dimostrano che non è così; a causa delle piccole manipolazioni fatte a malincuore per cercare di proteggere tutti, Simon finisce effettivamente per essere escluso dal suo gruppo di amici. È proprio questo scivolone a fare di lui una persona a tutti gli effetti, che sbaglia cercando di proteggersi e di proteggere le persone che ama (ad esempio, non vuole che Leah rimanga ferita da un suo rifiuto e la “dirotta” verso Nick) – e il fatto che sia uno young adult, genere in cui di solito i personaggi hanno lo spessore della velina, è molto promettente e indice che la buona scrittura non si vede da quanto cervellotico e filosofico sia l’argomento.

Certo, è semplice trovare delle obiezioni: il comportamento di Simon potrebbe essere letto come tossico e manipolatorio, il fatto che il bullismo omofobo si riduca a una scenetta plateale e maldestra di due cretinetti che vengono sbattuti immediatamente in presidenza e obbligati a scusarsi con Simon ed un altro ragazzo gay della scuola può essere tacciato di superficialità o non rispecchiare la “vera” esperienza dell’outing, e i triangoli amorosi di sottofondo possono dar fastidio a chi mastica un altro genere di cinematografia. Ma naturalmente, ogni opera va contestualizzata e, soprattutto, accettata per quello che è: Love, Simon è una commedia estremamente americana, estremamente young adult, estremamente piacevole e rinfrescante – il pesante tocco pop in un momento storico in cui la cultura nerd è quasi perfettamente integrata nel mainstream grazie all’avvento mondiale di Netflix non risulta irrealistico, e certi momenti surreali sono davvero sfiziosi; il mio preferito è un teatrino mentale di Simon, che dice di voler aspettare il college per vivere liberamente la propria sessualità, e si lancia in questo volo pindarico in cui balla sulle note di I Wanna Dance With Somebody di Whitney Houston accompagnato da un allegro corpo di ballo arcobaleno, prima di tornare alla realtà e dirsi che forse è “troppo” anche per i suoi standard.

E se pure Love, Simon non è (e non si fa) portatore di un grande messaggio politico, è importante proprio nel suo essere sfacciatamente leggero, e perché permette allo spettatore di lasciare la sala libero dai macigni che di solito vengono lanciati addosso al pubblico nei film a tema LGBT, e forse addirittura col sorriso sulle labbra.

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